BRESCIA, COPENHAGHEN, ROMA. TUTTA LA VERITA' SUL TERMO VALORIZZATORE

Che cos'è un termo valorizzatore e come funziona. Il mitico esempio e la tragica realtà. Quattro domande al sindaco Gualtieri
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Roma, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni)

“Il Termo utilizzatore sorge nella zona sud di Brescia, in prossimità di altri impianti produttivi collegati con la rete di teleriscaldamento cittadino. Il Termo utilizzatore fornisce un significativo contributo al fabbisogno energetico della città di Brescia. Infatti oltre a produrre energia elettrica, recupera il calore generato e lo convoglia, attraverso una rete di teleriscaldamento di oltre 670 chilometri, fino alle abitazioni dei singoli utenti. L’impianto è composto da 3 unità di combustione interdipendenti alimentate da rifiuti urbani indifferenziati e rifiuti speciali non pericolosi”.

Così il sito web dell’azienda proprietaria dell’impianto.


CHE COS'È UN TERMO UTILIZZATORE?

Semplicemente è un inceneritore cui si aggiunge la produzione di energia elettrica. Il termo utilizzatore è un impianto che permette di smaltire una grossa quantità di rifiuti, non riciclabili in altro modo, utilizzando un processo di combustione ad alta temperatura. Il prodotto finale dell’inceneritore sono gas, ceneri e polveri. Il calore che viene prodotto da questa combustione può venire poi recuperato e utilizzato per produrre energia elettrica, in maniera indiretta producendo vapore, oppure come vettore di calore per il teleriscaldamento.


IL PROCESSO PRODUTTIVO

Gli inceneritori sfruttano il potere calorifico dei rifiuti, ovvero il calore sviluppato durante la combustione che solitamente si aggira intorno ai 9000-13000 MJ/t. Il funzionamento può essere diviso in 6 fasi:

1) Arrivo dei rifiuti. I rifiuti arrivano dai vari impianti del territorio, vengono conservati in un’area dotata di aspirazione degli odori, e nel momento in cui devono essere bruciati vengono trasportati con un braccio meccanico nel forno.  

2) Combustione. Il forno ha delle griglie mobili per permettere il continuo movimento dei rifiuti durante la combustione, e una corrente d’aria viene indirizzata per portare ossigeno necessario alla combustione. La temperatura deve rimanere attorno ai 1000° e se il potere calorifero dei rifiuti è troppo basso viene aggiunto del gas metano. Oltre a una prima camera primaria di combustione viene associata una camera di combustione secondaria (camera di post-combustione), con lo scopo di completare il processo nel miglior rispetto della normativa vigente.

3) Produzione del vapore surriscaldato. Con il calore prodotto dalla combustione di metano e rifiuti si porta a vaporizzare l’acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per la produzione di vapore surriscaldato.

4) Produzione di energia elettrica. Il vapore mette in moto una turbina che, accoppiata a un motoriduttore e a un alternatore, trasforma l’energia termica in energia elettrica producendo corrente alternata.

5) Estrazione delle ceneri. Le parti che non sono bruciate vengono raccolte, raffreddate, ed estratte. Per ridurre la quantità di ceneri si dovrebbe fare una divisione accurata prima di bruciare i rifiuti. Va da se, però, che meno rifiuti si bruciano, meno energia si produce. L’acqua di raffreddamento deve essere depurata prima di essere scaricata in ambiente. Le ceneri sono classificate come rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono classificate come rifiuti speciali pericolosi. Entrambe devono essere smaltite in discariche per rifiuti speciali. 

6) Trattamento dei fumi. Rimangono alla fine da smaltire i fumi caldi, che passano in un sistema multi-stadio di filtraggio, per l’abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento i fumi vengono rilasciati nell’atmosfera a circa 140 °C.


BRESCIA, CITTÀ DELLE MERAVIGLIE

Nella città lombarda c’è un termo utilizzatore, sinonimo di termo valorizzatore che, di base, ricordiamolo, è sempre un inceneritore cui si aggiunge la produzione energetica. E’ l’impianto più grande d’Europa. Brucia circa 750 000 tonnellate l’anno di rifiuti. Per intenderci il triplo di quanti ne “valorizza” l’impianto di Vienna. In termini di produzione energetica il termo utilizzatore soddisfa circa un terzo del fabbisogno di calore dell’intera città di Brescia. Più volte l’impianto di Brescia è stato accostato a quello di Copenhaghen. Sono state utilizzate immagini ben curate e ottimamente ritoccate che fanno vedere come, sul tetto della struttura danese, si possa addirittura sciare. 

Dal punto di vista del marketing il termo utilizzatore è la merce perfetta. 

Un prodotto talmente ben congegnato che viene smerciato non solo da chi ne trae, giustamente, profitto attraverso una più che legale e legittima attività d’impresa, ma anche da tanti esponenti di un universo piccolo borghese e “liberal” che con quella filiera non hanno nulla a che fare ma che, semplicemente, hanno in odio il movimentismo di base e l’ambientalismo. 

Se da un lato c’è un’impresa che ragionevolmente vuole fare affari, dall’altro c’è la mera e livorosa propaganda. La gestione dei rifiuti, da questione di lungimiranza amministrativa, tecnica e economica, si tramuta in “ideologia”, nella dizione, poco gloriosa, che la seconda repubblica e la filosofia della “fine della storia”, adoperano per un concetto ben più significativo. Questo anche  costo della nostra salute.  

Il termo utilizzatore, nella propaganda, non “brucia” ma “valorizza” ed “utilizza” e crea energia elettrica. L’operazione di marketing raggiunge il suo culmine quando spesso e volentieri, andando sicuramente oltre la volontà e le necessità di comunicazione delle imprese, si fa passare la produzione energetica come qualcosa che non abbia conseguenze o residui pericolosi da smaltire. Che invece ci sono e in abbondanza. 

Come detto all’inizio il termo utilizzatore viene alimentato da “rifiuti urbani indifferenziati e rifiuti speciali non pericolosi”. Il che vuol dire che vengono conferiti nell’inceneritore tutti quei rifiuti che non possono essere riciclati. Parliamo, a titolo semplificativo ma non esaustivo, di: prodotti di plastica non riciclabile, contaminati e sporchi di cibo o altre sostanze. Carta non riciclabile, come la carta da forno, quella per alimenti, carta chimica, carta e cartoni con residui di cibo o colla. Gomma e derivati. Carcasse ed escrementi animali. Assorbenti, pannolini e pannoloni. 

E’ chiaro che più è accurata la diversificazione a monte dei rifiuti, minore sarà il carico inquinante. Ma è anche vero che minore è la quantità e la qualità calorifera dei rifiuti, minori saranno l’energia elettrica e il calore prodotti. 

Brescia ha dati ambientali sconfortanti:  ben 87 sforamenti della quantità di PM 10 nell’aria nel 2018 che le hanno conferito il triste primato di città con più PM10 in Italia, dati del rapporto Ispra-Sistema nazionale di protezione dell’ambiente. Eppure il termo valorizzatore brucia ogni anno circa 730.000 tonnellate di rifiuti mentre il territorio, hinterland compreso, ne produce solo 180.000 tonnellate annue. Il resto è “rifiuto di importazione”, bruciato non per necessità di smaltimento, ma per produrre energia. Oltre il danno, la beffa. I bresciani sono diventati bravi nel fare la raccolta differenziata, arrivata a quota settanta per cento. Sforzo encomiabile ma inutile dato che arrivano “rifiuti di importazione” da tutta Italia, di certo non ottimamente diversificati come quelli dei cittadini residenti. Nonostante i loro sforzi per l’ambiente i bresciani sono costretti a subire un drastico peggioramento della qualità dell’aria. 

Da notare, inoltre, che il “teleriscaldamento” ovvero la fornitura di calore dal termo valorizzatore alla città, è un sistema elefantiaco, che prevede la costante (ed anti economica) manutenzione di centinaia di chilometri di tubature, inefficiente, ancorato a tecnologie del secolo scorso, e che, soprattutto, richiede enormi combustioni per poter funzionare efficacemente. 

Nel termo utilizzatore si brucia tanta roba. Quella bresciana ottima, quella importata un po’ meno. Ora è evidente che un termo utilizzatore è dotato della tecnologia necessaria a minimizzare l’impatto ambientale e a trattare, in relativa sicurezza, i rifiuti che producono sostanze tossiche o venefiche. Non abbiamo motivo alcuno di dubitarne. Ma la pericolosità del processo di combustione in se resta in quanto evidenza scientifica. 


CARTOLINA: SALUTI DA BRESCIA E COPENHAGEN

Brescia, nonostante i dati certificati e poco edificanti sulla qualità dell’aria, è presentata, nella narrazione "ideologica", come la città perfetta. Dovunque spunti un fan della combustione si nomina Brescia e si agita la foto degli sciatori di Copenaghen. A Brescia, a dare retta ai fautori dell’inceneritore, si bruciano rifiuti, si produce elettricità e calore e (quasi) tutti sono felici. E’ facile affermarlo: basta far passare il decoro urbano come unico elemento identificativo della qualità dell’ambiente. Un’operazione più che sporca. 

In ultima analisi, però, la combustione ha dei residui estremamente pericolosi che, da qualche parte, dovranno pur finire. Brescia, insieme e Bergamo, si è candidata come Capitale della cultura 2023. Di certo è una città stupenda e curata, che merita questo riconoscimento. Noi tutti facciamo il tifo per lei. Ma, per onestà intellettuale, va riconosciuto che tutta la sua bellezza è tale perché la polvere viene nascosta sotto un tappeto lì vicino. 


BENVENUTI A MONTICHIARI, PATTUMIERA DI BRESCIA

Montichiari, pochi chilometri da Brescia. Cinque impianti di conferimento attivi, altrettanti dismessi e undici vecchi siti illegali: in pochi chilometri quadrati sono accumulati più di 12 milioni di metri cubi di rifiuti industriali, ceneri e fanghi di depurazione, lastre di eternit, materiali di scarto d’ogni sorta. Tra questi anche residui di combustione. A questo aggiungiamo il traffico veicolare per il trasporto dei rifiuti: i comitati locali stimano più di 250 camion al giorno.

A Vighizzolo, frazione di Montichiari, gli animi sono esasperati dopo una disavventura del 2017. L’odore in zona è pestilenziale. Si mescolano odore di marcio e di bitume. Gli abitanti lo denunciano da tempo, anche se è difficile misurare gli odori. È in questa piccola frazione di duemila abitanti il 17 ottobre 2017 gli alunni della scuola elementare sono finiti all’ospedale.

Quel mattino l’odore era più forte del solito e i bambini non riuscivano a respirare, così le maestre hanno chiamato il 118. Molti di loro sono stati ricoverati, alcuni trattenuti fino al giorno dopo. Ai genitori è stato poi detto che i bambini avevano valori alti di carbossiemoglobina nel sangue, ovvero erano intossicati da monossido di carbonio. 

Del caso si è occupata Marina Forti, giornalista de “L’internazionale”. Ha raccolto, tra le altre, la dichiarazione di Maria Chiara Soldini, assessore all’ambiente del comune di Montichiari: “l’istruttoria sull’incidente di ottobre è chiusa. L’azienda sanitaria locale e l’Arpa indicano varie cause plausibili, io credo che ci sia stata una combinazione di fattori: reflui, biogas, gli impianti che lavoravano al massimo, la strada che stavano asfaltando davanti alla scuola. Nessuno però si prende la responsabilità di indicare una causa precisa”. Chiude l’assessore: “da allora qui si vive con la paura. Ci chiediamo cosa stiamo respirando”.


DA BRESCIA A ROMA

Intervenendo alla festa dell’Unità del 2021, il sindaco Gualtieri, all’epoca candidato alla carica di primo cittadino di Roma, dichiarò “non abbiamo bisogno di inceneritori”. Oggi ha cambiato idea. Cosa pienamente legittima e qui nessuno mette in dubbio la sua buona fede. Mi permetto comunque, sulla base di quanto fin qui detto, di fare alcune domande al primo cittadino di Roma:

1) qual è il processo di maturazione che ha portato da un “No” agli inceneritori al “Si”?

2) Dato che più si ricicla, meno si brucia, in che modo si intende potenziare la raccolta differenziata a Roma che, ad oggi, lascia a desiderare?

3) Che ne sarà dei residui della combustione?

4) Si può escludere un “effetto Montichiari” nella provincia di Roma? Si può escludere che i residui della combustione verranno portati a Civitavecchia, Colleferro, Fiumicino e Monti della Tolfa?


Confido in una pronta, ed esaustiva, risposta. 

Mario Michele Pascale

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