È TUTTA COLPA DEL GORILLA. Dal processo ad Adolf Eichmann alla dissociazione patologica nella vita quotidiana e in psicoterapia

Perché è tutta colpa del gorilla? Cosa c'entra la dissociazione con "La banalità del male" di Hannah Arendt e il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann? Cosa unisce mentalizzazione, processi dissociativi, riflessioni sul "male" e la discussione di un caso clinico di un paziente delirante? A queste e ad altre domande risponderemo nel corso della Giornata di Studio che si svolgerà a Roma il 17 febbraio 2018 presso il centro Congressi dell’Hotel Villa Eur (P.le Marcellino Champagnat, 2).
Roma, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura) Nell’aprile del 1961 iniziò a Gerusalemme un processo particolarmente importante: quello ad Adolf Eichmann. Catturato dai servizi segreti di Israele a Buenos Aires, Eichmann fu considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Il processo ebbe una risonanza internazionale e riaccese il dibattito non solo sulla Shoah ma anche sul ruolo e le responsabilità dei singoli gerarchi per le atrocità commesse prima e durante la seconda guerra mondiale.
«A quel processo – ci ha ricordato il dott. Angelo Pennella, presidente IntegralMente – assistette come inviata del "New Yorker" Hannah Arendt che riuscì a cogliere, ascoltando Eichmann, quanto il “male” possa essere profondamente “banale”». «La violenza e le atrocità – aggiunge Pennella – possono essere il frutto di un’incapacità a pensare e vivere le emozioni, sia quelle proprie che quelle dell’altro. Se si ha questa incapacità, tutti noi ci trasformiamo in semplici oggetti a cui è possibile fare di tutto. In un periodo in cui la cronaca ci consegna episodi di estrema violenza dobbiamo chiederci cosa ci renda umani e su questo la psicologia può offrire un contributo fondamentale.»
Prendendo spunto dagli atteggiamenti espressi da Eichmann nel corso del processo, la Arendt sviluppò la tesi secondo la quale i mostruosi crimini contro l’umanità commessi all’epoca dei lager non erano stati compiuti da “mostri” ma da uomini “normali”, perfettamente integrati nella società e che tuttavia avevano “smesso di pensare”. La “banalità del male” è quindi connessa ad un pensiero superficiale, concreto, fondato su clichés e incapace di cogliere nessi ed implicazioni emotive. Aspetti la cui importanza è stata confermata dai recenti studi sui deficit di mentalizzazione, sul trauma e sulla dissociazione patologica.
«La nostra associazione culturale – racconta il dott. Pennella – ha voluto prendere spunto dal lavoro di Hannah Arendt per riflettere sull’importanza di promuovere, in ambito clinico ma anche nella vita di tutti i giorni, un “pensiero emozionato”, un pensiero cioè in grado di cogliere la nostra e l’altrui complessità. Se la mente perde questa capacità di sviluppare nuove connessioni e integrazioni, nuove sintesi, perdiamo, di fatto, la nostra umanità.»
Alla quinta giornata di studio di “IntegralMente” parteciperà un folto gruppo di esperti, tra cui il prof. Massimo Grasso e la prof.ssa Silvia Andreassi dell’Università Sapienza di Roma, la dott.ssa Ilaria Possenti dell’Università di Verona, il dott. Angelo Pennella presidente della associazione culturale IntegralMente, il dott. Pietro Stampa, vice-presidente dell’Ordine degli Psicologi del Lazio
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