“I Tre Papi e i Lupi: Benedetto, Francesco e Leone XIV nella Lotta per l’Anima della Chiesa”
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Benedetto XVI, nel giorno della sua elezione, pronunciò parole che ancora oggi risuonano con inquietante attualità: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi». In quella frase non c’era solo l’umiltà del teologo chiamato a reggere il peso di Pietro, ma anche una lucida consapevolezza: i lupi erano già dentro il recinto. Si riferiva a pressioni interne, scandali, lotte di potere e tradimenti spirituali. E, alla fine, Benedetto fuggì. Non nel senso fisico – il suo gesto di dimissioni fu libero e consapevole – ma nel senso simbolico. Non riuscì a sostenere la pressione, a tenere unito un corpo ecclesiale frantumato da lotte intestine. Il lupo non lo divorò, ma lo mise in fuga.
Con Papa Francesco, la Chiesa cambia approccio. Non più resistere o fuggire, ma dialogare. Francesco non prende il bastone del pastore per scacciare il lupo: si avvicina, lo guarda negli occhi, gli parla. Parla ai poteri, alle periferie, agli emarginati, ma anche ai potenti che da secoli minano la purezza evangelica con interessi mondani. Francesco è il pontefice che abbraccia l’umanità ferita, che cerca di riformare non tanto con decreti quanto con il Vangelo. Tuttavia, il suo dialogo con i lupi non sempre ha prodotto i frutti sperati. Le resistenze, soprattutto interne, si sono moltiplicate. E i lupi, anche stavolta, non sono fuggiti.
Ed ecco che ora arriva Leone XIV, eletto in un tempo segnato da crisi multiple – spirituali, geopolitiche, digitali. L’arcivescovo di Belgrado, Ladislav Nemet, parlando di lui ha usato parole forti: «Finora c’era Francesco che parlava coi lupi. Adesso abbiamo un Leone, che caccerà i lupi». È un cambio di paradigma. Il nome Leone non è casuale: richiama Leone Magno, colui che fronteggiò Attila, e Leone XIII, pontefice del Rerum Novarum. I Leoni non dialogano con i lupi. Li affrontano.
Ma cosa significa oggi “cacciare i lupi”? Non si tratta di crociate o di repressioni, ma di un pontificato deciso a ristabilire una gerarchia di verità, a riformare con determinazione e rigore una Chiesa sempre più esposta alla corruzione e al relativismo. Leone XIV sembra essere il Papa delle decisioni, quello che non teme il conflitto pur di salvare l’essenziale. Nemet ha detto: «Nel nome il programma». Un riferimento al nome Leone, certo, ma anche al suo approccio operativo: lavoro, digitalizzazione, riforma delle strutture. Dove Benedetto ha temuto, dove Francesco ha parlato, Leone vuole agire.
Eppure, la domanda resta: cosa aspetta Papa Leone?

Forse aspetta il momento propizio per scatenare la sua riforma, o forse attende che i lupi si rivelino del tutto. La lotta, infatti, non è solo contro nemici esterni – secolarismo, individualismo, perdita del senso del sacro – ma anche e soprattutto contro ciò che si annida all’interno della Chiesa stessa. C’è un clericalismo che resiste, un carrierismo ecclesiale, una burocrazia spiritualmente sterile. Cacciare i lupi oggi significa bonificare la Chiesa da ciò che la rende incoerente con il Vangelo.
Leone XIV, secondo alcuni, rappresenta una nuova fase del pontificato romano: quella della restaurazione del profilo profetico della Chiesa, ma con un linguaggio nuovo. Non nostalgico, ma risoluto. Non dogmatico, ma non negoziabile sui principi. È la fase in cui la Chiesa deve essere “pellegrina ma solida”, capace di camminare nella storia senza esserne travolta.
In questo contesto, la figura del lupo torna ad assumere valenze multiple. C’è il lupo ideologico, che insinua divisioni teologiche. C’è il lupo finanziario, che mina la credibilità della Chiesa con scandali e opacità. C’è il lupo mediatico, che alimenta narrative distorte e sensazionaliste. E c’è il lupo interno, forse il più pericoloso: quello del compromesso, della tiepidezza, della fede ridotta a formalismo.
Papa Leone, allora, è chiamato a un discernimento forte. Deve distinguere i lupi dalle pecore travestite, deve sapere dove colpire senza fare vittime collaterali. È un compito immane, ma anche necessario. Perché, come diceva Benedetto, il lupo non va preso alla leggera. E come ha dimostrato Francesco, non sempre il dialogo basta. A volte, occorre anche il bastone del pastore.
Il popolo di Dio, intanto, osserva. Alcuni temono un’eccessiva durezza, altri sperano in un’azione purificatrice. La storia della Chiesa è fatta di cicli: tempi di crisi, tempi di riforma, tempi di rinascita. Forse siamo all’inizio di un nuovo ciclo. Un ciclo in cui non basterà più resistere o parlare, ma si dovrà scegliere, agire, purificare. I lupi, in fondo, ci sono sempre stati. Ma anche i pastori. E alcuni, come Leone, portano il nome della forza.
Marco Baratto