Intervista a Giorgio Carnevale sui vissuti della sessualità maschile

In occasione della presentazione del libro "Ilcinquantaduepercento. I vissuti della sessualità maschile" presso la sede di Pescara dell'Ordine degli Psicologi dell'Abruzzo, Edizioni Psiconline ha intervistato l'autore il Dott. Giorgio Carnevale.
Francavilla al Mare, (informazione.it - comunicati stampa - editoria e media) In occasione della presentazione del libro "Ilcinquantaduepercento. I vissuti della sessualità maschile" presso la sede di Pescara dell'Ordine degli Psicologi dell'Abruzzo, abbiamo intervistato l'autore il Dott. Giorgio Carnevale.
L'intervista contribuisce a chiarire meglio i contenuti del volume, che si rivolge ad un pubblico vasto e non soltanto agli addetti ai lavori. (L'intervista completa è sul Blog di Edizioni Psiconline).

D. Dottor Carnevale, nella parte introduttiva in cui viene presentato il testo della campagna di sensibilizzazione mediatica sull’impotenza, o meglio definire “disfunzione erettile”, ritiene che l’utilizzo di termini come “il maschio fa flop” e “…fa cilecca”, siano impropri o stigmatizzanti?

R. Essendo sostanzialmente una pubblicità televisiva, reputo che i termini utilizzati siano solo d'effetto. Ritengo che la problematica della disfunzione erettile, più in generale tutti quei problemi che riguardano la sessualità maschile, non interessino solo la fascia di età proposta nella campagna, cioè sopra i 40 anni. La "scelta" di mettere in evidenza questa fascia di età è di natura prettamente commerciale. L'età di mezzo, compiuti i quaranta, è particolarmente insidiosa, in quanto si approda lentamente in una dimensione in cui la percezione del tempo e della morte cambiano radicalmente. Se prima il futuro sembrava pressoché infinito, ad un certo punto non lo è più. Da qui le insicurezze diventano ingombranti e se compaiono problemi sessuali, come la disfunzione erettile, l'allarme diventa spesso ingestibile. Un uomo tende a pensare che approdato nell'età di mezzo, percependo il limite temporale della vita, l'episodio della non erezione non sia un problema momentaneo, ma la fine della propria sessualità. Ciò implica l'ingresso in uno stato ansioso che, ovviamente, aumenta la probabilità di altri insuccessi.
In conclusione direi che la campagna di sensibilizzazione sia stata orientata nella fascia di età degli over 40 sia per i motivi sopra esposti, sia perché si tratta di un'età in cui è probabile una certa stabilità economica e quindi l'ansia per un problema "fisico" di questa portata, con il portafoglio pieno, mobilita accertamenti e consultazione professionali smisurate e spesso fuori luogo. Nel particolare sottolineo che, nonostante la campagna di sensibilizzazione metta in evidenza che solo il 2% del 52% ha un problema strettamente fisico che determina la disfunzione erettile, le indicazioni circa le terapie idonee sono strettamente mediche: andrologo, urologo, medicina generale.

D. Rispetto alle problematiche sessuali, ritiene che la reticenza a non parlarne con uno specialista sessuologo, sia dovuta ad una scarsa informazione ed educazione alla sessualità e disfunzioni sessuali annesse?

R. Sicuramente la reticenza a non parlare di un problema di questo tipo, complica un po' tutto. Ma non penso sia legata ad una scarsa informazione. Forse oggi, più che parlare di scarsa informazione, dovremmo parlare di eccessiva informazione, che non fa che confondere e disorientare chi deve affrontare un problema di questo tipo. Anche a livello professionale ci sono spesso sovrapposizioni di specializzazioni, paradossalmente tutti si occupano di tutto.
Chi non vuole affrontare il problema della disfunzione erettile "pubblicamente" tenderà ad affrontarlo attraverso l'assunzione di farmaci come il viagra o simili. Chi invece lo vuole affrontare concretamente è spesso mosso dall'emergenza e tenderà a muoversi all'interno di una cornice strettamente medica che, sempre attraverso l'uso di farmaci, può garantire una risposta immediata ma a mio avviso non idonea. Aggiungerei il fatto che gli uomini, diversamente dalle donne, hanno una certa reticenza a mettersi in gioco, ad intraprendere un percorso psicoterapeutico e quindi tendono a scegliere soluzioni pratiche ma che, come sappiamo, non sono risolutive e più che altro non aggiungono nulla in termini esperienziali e quindi di crescita.

D. Nel procedere del suo lavoro, ad un certo punto, parla di dipendenza reciproca nella coppia come espressione di un disagio e, successivamente, introduce il concetto di cambiamento Bio-Culturale; ritiene pertanto che gli aspetti psicologici sottesi al bisogno di dipendenza non abbiano influenzato il suddetto cambiamento?

R. Ogni aspetto relazionale è portatore di benessere come di malessere. In una coppia, dove si presume che il coinvolgimento sia particolarmente intenso e profondo, la dipendenza dal partner è sicuramente una fonte di benessere ma anche di malessere. La complessità delle dinamiche di coppia scaturisce proprio da questo. D'altra parte se un uomo si completa con una donna e viceversa, l'incontro nella coppia sarà portatore di vitalità, ma ad altri livelli, sarà percepito come una perdita di identità e di autonomia. Ovviamente non tutte le coppie sono uguali così come non sono identiche le dinamiche che la caratterizzano. Detto in modo semplice, ma a mio avviso efficace, partendo dal fatto che l'essere umano tende a desiderare quello che non ha, quando è solo tenderà a cercare un partner, mentre quando è in coppia tenderà a cercare spazi autonomi.

D. Che cosa l’ha spinta ad indagare sulla storia dell’uomo e sul cambiamento intervenuto nella sessualità e l’interdipendenza con il processo creativo?

R. Viviamo in un tempo in cui da più ambiti viene sottolineata la difficoltà dell'uomo. Questa condizione di disagio lo riscontriamo nei giovani maschi, come negli adulti. La paternità, per esempio, è in costante depressione. Molti sostengono che questo fenomeno sia determinato dall'assenza del padre all'interno della famiglia. Io sostengo che la figura maschile è sempre stata coinvolta fuori della famiglia, in tempi passati molto di più e quindi non penso che i motivi vadano ricercati in fenomeni genericamente ambientali. Le teorie sistemiche, nonostante si muovano su un piano prevalentemente relazionale, hanno colto in maniera esemplare questo fenomeno coniandolo come genitore periferico. La loro osservazione ha portato alla luce una posizione, un ruolo, della figura paterna spesso e drammaticamente periferica. Questo ci porta a pensare che il problema della paternità, la crisi della paternità sia un fatto prevalentemente simbolico e non pratico.
La depressione della paternità e più in generale quella del ruolo maschile determina, tanto per fare un esempio, che nel processo educativo e istruttivo la figura maschile non esiste praticamente più. Tradotto in termini pratici, un individuo che inizia la scolarizzazione molto prima rispetto ai tempi passati, non incontrerà una figura maschile fino alle scuole medie, dove peraltro la componente maschile è bassissima. Questo semplice dato può da solo mettere in evidenza una totale mancanza del maschio nell'evoluzione di un individuo.
La mia ricerca presentata nel libro evidenzia come la sessualità sia cambiata negli ultimi 70 anni, sganciandosi in parte dal processo creativo. Questo radicale cambiamento è il principale fattore che determina il disagio maschile in quanto la virilità maschile, che si è sempre espressa principalmente attraverso la numerosità della prole, si evidenzia nella perdita del primato della virilità nella formazione dell'identità.
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