"Lettere a Nour" con Franco Branciaroli, Marina Occhionero e con il trio Mothra a Ravenna Festival

Il testo di di Rachid Benzine, che offre una lettura critica del Corano, si muove con straordinaria efficacia fra cronaca ed ideologia.
Bologna, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura) "Lettere a Nour" di Rachid Benzine. Teatro Alighieri Ravenna.
Una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati, in collaborazione con Ravenna Festival.

"Lettere a Nour"

di Rachid Benzine.
Traduzione italiana a cura di Anna Bonalume.
Regia Giorgio Sangati.

Con Franco Branciaroli
e Marina Occhionero.
E con il trio Mothra:
Fabio Mina (flauto, flauto contralto, duduk, elettronica).
Marco Zanotti (batteria preparata, percussioni, elettronica).
Peppe Frana (oud elettrico, godin multioud, elettronica).

Assistente alla regia Virginia Landi.
Scene Alberto Nonnato; luci Vincenzo Bonaffini; costumi Gianluca Sbicca
musiche originali trio Mothra.

Una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati, in collaborazione con Ravenna Festival.



In prima assoluta per l'Italia a Ravenna Festival "Lettere a Nour", già rappresentato in Belgio con notevole successo e dato in lettura all'ultimo Festival di Avignone.

Un testo che, nella sua essenzialità drammatica di puro dialogo, si muove con straordinaria efficacia fra cronaca ed ideologia: guardando all’attualità, tocca nel vivo ferite profonde della nostra società contemporanea, a partire dalla potenza di una vicenda privata, di affetti familiari stravolti dalla storia.

Nour ha vent'anni quando decide di partire, di lasciare improvvisamente la sua vita di studentessa brillante per raggiungere l'Iraq e sposare un combattente del nascente Stato Islamico conosciuto su internet. Suo padre è un professore universitario, un teologo islamico illuminista e progressista che ha perso la moglie quando era giovane, ha cresciuto la figlia da vedovo e ora si ritrova solo. Nour ha voglia di cambiare il mondo, di agire, di mettere in atto tutto quello che ha studiato e imparato dal padre, a cui rinfaccia di essersi chiuso in un'asfittica torre d'avorio fatta di libri e certezze, senza più rapporto con la realtà. Il padre vorrebbe solo che la figlia tornasse a casa, al sicuro, che si rendesse conto dell'orrore, del paradosso di una visione del mondo basata sulla violenza e sull'odio. Da un lato la vita che continuamente si misura col rischio, con l'errore, con la morte; dall'altro la ragione che teorizza il dialogo e la pace, ma pretende a tutti costi di eliminare la violenza e rimuovere il dolore. Evoluzione e stasi, deriva e blocco, giovinezza e vecchiaia, ribellione e orgoglio. Due sguardi sul reale antitetici, due punti di vista sull'islam indagati senza pregiudizi. Due anni di corrispondenza, due anni di scontro e amore, per raccontare un rapporto intenso e travagliato, un conflitto familiare, generazionale e culturale apparentemente senza via d'uscita.
Un epistolario drammatico, un dialogo a distanza, in cui i concetti stessi di intimità e lontananza perdono consistenza e le parole spesso ne nascondono altre, perché è difficile parlarsi veramente, ascoltare e vedere davvero quando è in gioco un legame così profondo, archetipico, come quello tra un padre e una figlia. In scena, in un'ideale non-luogo interiore, in una sorta di spazio dell'anima - contemporaneamente incubo, paradiso e trappola - l'incontro tra uno dei più grandi interpreti di sempre, Franco Branciaroli e una giovane e promettente attrice, Marina Occhionero.
Insieme a loro, mimetizzati sul palco, un trio di musicisti, i Mothra, a costruire una scenografia sonora impalpabile, sospesa, a metà tra oriente e occidente, tra futuro e passato, musica come presente, come sangue, come vita.
Rachid Benzine, a sua volta intellettuale e islamista, sostenitore convinto di una lettura critica e aperta del Corano, da tempo si batte per svincolare gli studi sulla religione da strumentalizzazioni politiche di qualsiasi tipo e alimentare la ricerca con strumenti provenienti dalle scienze umane e sociali. In Lettere a Nour va dritto al nucleo della questione: perché ragazze e ragazzi giovanissimi decidono di lasciare i loro paesi per partecipare alla folle guerra dello stato islamico? Cosa cercano? Cosa è mancato? Evitando semplificazioni e restando coraggiosamente all'interno del perimetro dell'islam, costruisce una specie di clone di se stesso: il padre di Nour, più vecchio dell'autore, diventa così una sua possibile proiezione. Benzine teatralmente si sdoppia e si immagina a colloquio con una generazione di figli che non riesce a comprendere il senso del suo pensiero. Si interroga sulle possibili motivazioni alla base di questa "rottura", si mette in discussione, si osserva senza sconti. Non vuole, però, fornire risposte, piuttosto suggerire domande, offrire spunti: forse la rimozione dell'emozione (e della morte) e l'eccesso di razionalità possono rendere sterile anche il punto di vista più aperto. È necessario rimanere sempre in ascolto, in contatto col mondo (tutto) e non chiudersi in se stessi, nel proprio orgoglio. Sarebbe fatale in questo momento rinunciare al dialogo con l'altro, soprattutto quando l'altro sposa una causa per frustrazione, subendo la manipolazione di approfittatori senza scrupoli. Il suggerimento tra le righe non è da poco in un mondo che tende a dividere sistematicamente, in ogni ambito, buoni (noi) e cattivi (gli altri). Certo, i mostri ci sono, da una parte e dall'altra ed è bene riconoscerli, ma solo creando ponti sarà possibile riallacciare i rapporti all'interno dell'unica grande famiglia degli uomini; le divisioni, i muri non servono a nulla: perché - come dice il padre di Nour - il destino di un muro è il suo crollo. Lettere a Nour è una storia così personale, così privata da diventare pubblica, universale: c'è qualcosa di classico in questa scrittura contemporanea che mette insieme Lear e Pastorale americana. Un testo che ci riguarda tutti: tutti siamo figli o genitori o entrambe le cose, tutti stiamo in questo stesso presente e stare a guardare ormai potrebbe non bastare.


Scheda Giorgio Sangati:

Formatosi come attore alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, dove, sotto la guida di Luca Ronconi, si è diplomato nel 2005, e laureatosi all'Università di Padova in Scienze della Comunicazione, con una tesi su La tragedia nel cinema di Pier Paolo Pasolini, Giorgio Sangati, nonostante la giovane età (è classe 1981), ha già maturato una vasta esperienza di palcoscenico sia come interprete, sia come drammaturgo che regista. Dal 2007 al 2015 ha recitato nell'Arlecchino servitore di due padroni del Piccolo Teatro di Milano, per la storica versione di Giorgio Strehler, prendendo parte nel frattempo a numerosi spettacoli di Luca Ronconi e alla fortunata edizione della Resistibile ascesa di Arturo Ui diretta da Claudio Longhi (ERT Fondazione-Teatro di Roma, Premio ANCT 2011 come “miglior spettacolo dell'anno”). Nello stesso periodo è anche attore al cinema, dove ha lavorato con Marco Tullio Giordana (Sangue Pazzo), Renato De Maria (La prima linea), Michele Placido (Vallanzasca), Carlo Mazzacurati (La sedia della felicità).
Indirizzatosi progressivamente verso la regia e la drammaturgia, ha studiato con maestri della scena internazionale quali Lev Dodin, Anatolij Vassiliev, Yoshi Oyda, Anne Bogart, Declan Donnelan, per diventare poi assistente alla regia di Luca Ronconi dal 2011 fino alla Lehmann Trilogy. Nello stesso anno inizia a dirigere spettacoli in prima persona, sia scritti da lui sia partendo da drammaturgie altre. Tra i numerosi allestimenti che, in poco tempo, ha messo in scena, sono da citare il suo testo Massacritica (2013, Teatro Stabile del Veneto), Arlecchino servitore di due padroni da Carlo Goldoni (2015, Teatro Stabile del Veneto), Le donne gelose di Carlo Goldoni (2016, Piccolo Teatro di Milano), gli intermezzi melodrammatici Rosiccia e Morano di Francesco Feo (2017, Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto), Mahagonny Songspiel da Brecht/Weill (2017, Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto) e, nell'ultima stagione, il fortunato I due gentiluomini di Verona di William Shakespeare (CTB-Teatro Stabile del Veneto).

Dopo la partecipazione a Ravenna Festival, queste le date nei teatri ERT:
Dal 3 al 7 ottobre 2018, Teatro Storchi – Modena.
Dal 28 al 31 marzo 2019, Teatro Bonci – Cesena.
2 aprile 2019, Teatro Fabbri – Vignola.
Tournée
Dal 4 al 7 aprile 2019, Teatro Fabbricone – Prato.
Dal 9 al 14 aprile, Teatro Santa Chiara, Brescia.
Ufficio Stampa
Allegati
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