Un Pasolini magico, nel saggio di Nicolò Bernini

Lo sguardo mai sazio di Nicolò, dopo aver rovesciato il suo caledoscopio emotivo, pone l’attenzione proprio su una figura cangiante del pensiero culturale italiano, dal respiro internazionale. Pier Paolo Pasolini è un unicum della nostra cultura. Una personalità che invade inevitabilmente più campi della conoscenza e dell’arte. Nicolò ne fa centro di saggezza, interpretando, dell’autore Pasolini, un aspetto peculiare da cui si snoda un ventaglio di riflessioni e riletture: il rito.
Roma, (informazione.it - comunicati stampa - editoria e media) La musica, la poesia, il teatro: da sempre circondano e straripano nel mondo interno di Nicolò Bernini, che debutta con la sua “opera prima” sulla coda dell’anno 2017.

Sarà per questo che lo sguardo mai sazio di Nicolò, dopo aver rovesciato il suo caledoscopio emotivo, pone l’attenzione proprio su una figura cangiante del pensiero culturale italiano, dal respiro internazionale. Pier Paolo Pasolini è un unicum della nostra cultura. Una personalità che invade inevitabilmente più campi della conoscenza e dell’arte. Nicolò ne fa centro di saggezza, interpretando, dell’autore Pasolini, un aspetto peculiare da cui si snoda un ventaglio di riflessioni e riletture: il rito. La psicoanalisi parlerebbe di coazione a ripetere (si prenda ad esempio di Pasolini le simmetrie fra le sue opere e gli aspetti della sua vita) e in questo caso, avendo come riferimento Orgia “il dramma per la disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini”; come lo stesso Pasolini definì quest’opera, si fa tessuto di quel teatro di parola, in cui Nicolò tenta di ritagliare e analizzare una delle caratteristiche che vestono il teatro, il cinema, la poesia di questo grande autore.

Il rito inteso come processo psichico e fisico di esprimere una intensità magmatica capace di cristallizzare una unicità e una identità, che si evidenziano e si riaffermano, nel loro continuo divenire. Una rottura quindi con le leggi, con il Potere.

Non a caso Pier Paolo Pasolini vede il teatro come un rito culturale e sulla rivista Nuovi Argomenti del 1968 scrive: “Il teatro che vi aspettate, anche come totale novità, non potrà essere mai il teatro che vi aspettate. Infatti, se vi aspettate un nuovo teatro, lo aspettate necessariamente nell’ambito delle idee che già avete; inoltre, una cosa che vi aspettate, in qualche modo c’è già. Non c’è nessuno di voi che davanti a un testo o a uno spettacolo resista alla tentazione di dire: “Questo È TEATRO”, oppure: “Questo NON È TEATRO” il che significa che voi avete già in testa, ben radicata, una idea del TEATRO. Ma le novità, anche totali, come ben sapete, non sono mai ideali, sono sempre concrete. Quindi la loro verità e la loro necessità sono meschine, seccanti e deludenti: o non si conoscono o si discutono riportandole alle vecchie abitudini. Oggi, dunque, tutti voi vi aspettate un teatro nuovo, ma tutti ne avete già in testa un’idea, nata in seno al teatro vecchio. Queste note sono scritte sotto la forma di un manifesto, perché ciò che di nuovo esse esprimono si presenti dichiaratamente e magari anche autoritariamente come tale. (In tutto il presente manifesto, Brecht non verrà mai nominato. Egli è stato l’ultimo uomo di teatro che ha potuto fare una rivoluzione teatrale all’interno del teatro stesso: e ciò perché ai suoi tempi l’ipotesi era che il teatro tradizionale esistesse [e infatti esisteva]. Ora, come vedremo attraverso i commi del presente manifesto, l’ipotesi è che il teatro tradizionale non esista più [o che stia cessando di esistere]. Ai tempi di Brecht, si potevano dunque operare delle riforme, anche profonde, senza mettere in discussione il teatro: anzi, la finalità di tali riforme era di rendere il teatro autenticamente teatro. Oggi, invece, ciò che si mette in discussione è il teatro stesso: la finalità di questo manifesto è dunque, paradossalmente, la seguente: il teatro dovrebbe essere ciò che il teatro non è. Comunque questo è certo: che i tempi di Brecht sono finiti per sempre.)”. E si legge ancora: “La mancanza di azione scenica implica naturalmente la scomparsa quasi totale della messinscena – luci, scenografia, costumi ecc.: tutto ciò sarà ridotto all’indispensabile (poiché, come vedremo, il nostro nuovo teatro non potrà non continuare ad essere una forma, sia pure mai sperimentata, di RITO, e quindi un accendersi o uno spegnersi di luci, a indicare l’inizio o la fine della rappresentazione, non potrà non sussistere)”.
Pier Paolo Pasolini

Pertanto il teatro diviene a tutti gli effetti il non luogo dell’essere; palcoscenico della vita e del nucleo delle complessità emotive espresse. Da qui il titolo di questo saggio: teatro come utopia. Come matrice stessa di un sogno possibile all’interno dell’impianto scenico della non azione, ma dell’espressione stessa. La coppia protagonista della tragedia Orgia, trasuda la pluralità delle sue implosioni libidiche in un gioco di ruoli ed emozioni in cui ci si ascolta e si desidera.

Una coppia ricca e borghese. L’Uomo e la Donna. La loro infanzia che ritorna nell’atto sessuale stesso. La donna, sempre più avanti dell’uomo: compreso il meccanismo del rito, in cui la violenza è alla base di ogni forma di potere, si suicida. L’uomo superstite, indirizza la sua libido e applica la ritualità verso una prostituta. Il processo di blocca per via del Potere, o meglio si ridefinisce. Lui stesso si fa donna: si traveste e nella ritualità anche egli comprende il peso dei ruoli. Quelli sociali da una parte, quelli primordiali dall’altra. In questa diversità da difendere e riaffermare, nasce, come per la donna, l’esigenza di togliersi la vita. La morte è intesa come principio del divenire, in un gioco affascinante per sottrarsi al potere e utilizzare la morte stessa come azione liberatrice. Siamo di fronte al teatro di sogni e di pulsioni, come ci ricorda il saggio di Nicolò Bernini. “Orgia” (rappresentata nel 1968 per la prima volta) è un dramma teatrale, con un prologo e sei episodi. Un dramma che utilizza la coppia borghese per essere antiborghese e andare contro la morale, attraverso l’impianto onirico e libidico che Nicolò considera esattamente visionario e magico. La diversità allora, diventa “un puro termine di negazione della norma” in contrasto con il Potere che tenta di nasconderla.

Niccolò Carosi





Dalla quarta di copertina

Eclettico, eccentrico, critico, anticonvenzionale e volutamente polemico. A più di quarant’anni dalla sua scomparsa, Pier Paolo Pasolini rimane ancora oggi uno degli intellettuali italiani di maggior spessore capace di oltrepassare e reinventare i confini delle più disparate forme d’espressione artistica: dalla poesia al giornalismo, dal romanzo alla regia cinematografica, fino al teatro, luogo-non luogo in cui riesce a dare vita a una nuova forma d’arte, il teatro di parola, agorà di confronto, scambio e dibattito ma anche regno indiscusso del lògos, della catarsi e della poesia. Nicolò Bernini, nel centrare sapientemente la propria analisi sulla tragedia Orgia, coglie uno degli elementi base del teatro pasoliniano: il rito. Attraverso una trattazione puntuale e scrupolosa, ricca di spunti originali oltre che di una attenta riflessione critica, l’autore chiarisce come questo testo sia esemplificativo di un immaginario poetico che vede nella tradizione del rituale orgiastico la rottura con il potere e il contatto rigenerativo con il vero io, nel disperato bisogno di riaffermare la propria identità.

Nicolò Bernini (Roma, 1988) si laurea con lode in Scienze dello Spettacolo presso l’Università degli studi di Firenze, con una tesi in Storia del teatro. Durante il suo percorso approfondisce gli aspetti legati al management culturale e artistico. Si occupa di comunicazione e contenuti creativi.
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