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LA REAZIONE DEL MONDO AL PROCESSO DEI SETTE DIRIGENTI BAHA'I IN IRAN

GINEVRA, 13 gennaio (BWNS). La decisione dell’Iran di dare inizio ieri al processo dei sette diri-genti baha’i ha suscitato una forte reazione internazionale, compresa la richiesta del premio Nobel Shi-rin Ebadi di liberarli e proscioglierli immediatamente.
, (informazione.it - comunicati stampa - politica e istituzioni) «Se si vuole fare giustizia e se le accuse contro i miei clienti saranno esaminate da un giudice imparzia-le, il solo possibile verdetto è l’assoluzione», ha detto la signora Ebadi, in un commento divulgato da WashingtonTV, un notiziario Web statunitense. La signora Ebadi, che è uno dei legali detti sette, ha detto di aver letto attentamente l’incartamento del-le accuse contro di loro e di non aver «trovato né ragioni né prove che sostengano le accuse mosse dal pubbliche ministero».
Anche altri hanno espresso la propria preoccupazione per l’equità del processo, chiedendo che sia tenu-to a porte aperte e secondo gli standard legali internazionali. Governi e personalità eminenti dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, del Brasile, dell’India e del Canada hanno pubblicato dichiara-zioni di grande preoccupazione.
La dichiarazione dell’Unione Europea è uscita ieri e ha ribadito una precedente richiesta di ammettere al processo dei sette baha’i la presenza di osservatori internazionali. La dichiarazione dice: «L’Unione Europea ricorda che la libertà di pensiero, di coscienza e di religione è un diritto fondamentale e innegabile che deve essere garantito in ogni circostanza.
L’Unione Europea chiede un processo giusto, equo e aperto, nel rispetto di tutti gli standard e gli obblighi internaziona-li...». Ieri in Brasile, Luiz Couto, presidente della Commissione per i diritti umani della camera federale dei deputati, ha detto in una lettera all’ambasciatore iraniano in Brasile che è evidente che «il processo non è trasparente e pubblico» e che un processo a porte chiuse viola il diritto a una difesa completa ed equa.
«Pensiamo che la libertà di religione e di credo, per musulmani, cristiani, ebrei, buddhisti, baha’i e ogni altra espressione religiosa, sia un fondamentale diritto umano per la democrazia, in occidente e in o-riente», ha detto l’onorevole Couto. Lunedì, il Dipartimento di stato degli Stati Uniti ha condannato la decisione dell’Iran di procedere con il processo.
«Le autorità hanno tenuto in carcere queste persone per oltre venti mesi, senza rendere pubblica alcuna prova contro di loro e dando loro poche possibilità di accesso a una consulenza legale», ha detto Philip J. Crowley, assistente segretario all’Ufficio degli affari pubblici del Dipartimento di stato americano. «Queste persone hanno diritto a un giusto processo».
In India, eminenti personalità indiane hanno invitato il governo ad affrontare il tema delle persecuzioni dei baha’i con Teheran. «Il nostro paese ha un lungo passato di pluralismo e tolleranza e ha il dovere di pronunciarsi», ha detto Maja Daruwala, direttore del Commonwealth Human Rights Initiative, secondo il quotidiano The Hindu di sabato.
In Canada, il Ministro degli esteri Lawrence Cannon ha fatto una dichiarazione venerdì per esprimere grande preoccupazione sul prolungamento della detenzione dei sette dirigenti baha’i. «È deplorevole che queste persone siano state messe in prigione solo per la loro fede e che sia stato negato loro un giu-sto processo», ha detto il signor Cannon.
La nota esperta legale di diritti umani Cherie Blair in un’intervista di oggi con la BBC ha chiesto la li-berazione di «questo gruppo di persone che vive una religione che predica la pace e non ha fatto niente per meritare questo processo».
Nell’intervista con la WashingtonTV, la signora Ebadi, che si trova attualmente fuori dall’Iran, ha an-che dato un’idea di quello che è accaduto ieri nella Sezione 28 del Tribunale rivoluzionario, dove si è celebrata la «prima sessione» del processo. Ha detto che sono stati presenti nel tribunale solo due legali del Centro dei difensori dei diritti umani, che lei stessa aveva designato. E che malgrado fosse stato richiesto un processo a porte aperte, il processo è stato a porte chiuse.
Le accuse contro i sette sono state ripetute ieri da articoli pubblicati da mezzi di comunicazione sponso-rizzati dallo stato. Le accuse sono: spionaggio, «attività di propaganda contro l’ordine islamico», crea-zione di un’amministrazione illegale, collaborazione con Israele, invio all’estero di documenti segreti, azione contro la sicurezza del paese e corruzione sulla terra».
Diane Ala’i della Baha’i International Community ha detto che i sette hanno sempre categoricamente negato le accuse. «Possiamo essere certi che lo hanno fatto anche davanti al giudice ieri», ha affermato.
I sette sono la signora Fariba Kamalabadi, il signor Jamaloddin Khanjani, il signor Afif Naeimi, il signor Saeid Rezaie, la signora Mahvash Sabet, il signor Behrouz Tavakkoli e il signor Vahid Tizfahm.
Tranne uno, sono stati arrestati tutti il 14 maggio 2008 a Teheran nelle loro abitazioni. La signora Sabet è stata arrestata il 5 marzo 2008 mentre si trovava a Mashhad. Da allora sono stati trattenuti nella pri-gione Evin e per un anno non hanno avuto comunicazione formale delle accuse né la possibilità di incontrare un legale.
Prima dell’arresto i sette formavano un gruppo ad hoc nominato, conosciuto come gli «Amici». Il loro ruolo, che il governo sapeva che essi svolgevano, era quello di provvedere alle necessità spirituali e materiali minime della comunità baha’i in Iran, che non aveva più un guida formale poiché i suoi organi di governo eletti erano stati sciolti in seguito a un decreto governativo nel 1983.

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