Mostra "SEZIONE AUREA-Luogo ancestrale. Forma architettonica. Spazio vuoto." - Paolo De Stefani @ Manifiesto Blanco

La mostra "Sezione Aurea. Luogo ancestrale. Forma architettonica. Spazio vuoto" offre un viaggio attraverso l'arte di Paolo De Stefani, dove la sezione aurea diventa strumento per esplorare la bellezza della natura e le emozioni umane.
Milano - Via Benedetto Marcello 46, (informazione.it - comunicati stampa - fiere ed eventi)

PAOLO DE STEFANI - "SEZIONE AUREA - Luogo ancestrale. Forma architettonica. Spazio vuoto."

 

IN MOSTRA dal 24 maggio al 22 giugno 2024, da martedì a sabato h. 16 - 19

VERNISSAGE giovedì 23 maggio h. 18:30

Ingresso libero

 

La mostra – a cura di Elisabetta Sem – presenta un nucleo recente di opere che indagano ed esplorano concetto e interpretazione della sezione aurea, linguaggio matematico della bellezza, partendo dalla suggestione paesaggistica, formale e cromatica della Val Codera in Val Chiavenna - provincia di Sondrio - luogo vissuto in prima persona dall’artista, per concludersi nello spazio della galleria milanese. I lavori – carte, tele e una scultura in metallo – sono suddivisi in 6 nuclei entro una progressiva elaborazione delle proporzioni auree, dalla linea al poligono plastico regolare, raffinata e sottile stilizzazione del cristallo: Visione, Segnale aureo, Luogo, Frammenti, Luogo-Spazio, Aureo.

I luoghi di origine e di elezione di Paolo De Stefani rappresentano il presupposto inscindibile della sua ispirazione artistica, non tanto come assimilazione e fedele restituzione di immagini paesaggistiche riconoscibili, quanto come respiro profondo di un’essenza sottile e intellettuale delle forme montuose, come interpretazione degli elementi naturali che coglie l’essenza più autentica e raffinata delle gamme cromatiche.

L’autore cerca nel disegno le radici dell’osservazione e della sua stessa arte: “Questa espressività è in parte legata alla morfologia della roccia: profonde fenditure sono evidenti in alcune mie opere, soprattutto nelle pitto-sculture e nelle ultime con figure geometriche dalle forme essenziali, purificate, stabili e instabili al tempo stesso. Non copio quello che vedo, lo interiorizzo”.

Il lavoro parte da un radicamento alla materia e si chiude in una dimensione spaziale di infinito, accostabile alla sensazione di vuoto che si percepisce in alta quota: distillato di una sensazione fisica e al contempo dimensione astratta e universale.

 

Paolo De Stefani nasce nel 1969 a Chiavenna dove attualmente vive e lavora. Nei primi anni Novanta frequenta presso studi privati corsi di pittura in cui matura e perfeziona la tecnica del disegno. La sigla stilistica essenzialmente figurativa che caratterizzava i lavori dei primi anni lascia spazio a una ricerca astratta. L’inizio del nuovo millennio coincide con una significativa svolta nella sua ricerca attraverso lavori strutturati da evidenti sovrapposizioni di carte in teche di legno e sculture di materiale cartonato intrise di smalti. Nel 2007-2008 si concretizza l’aspetto segnico-calligrafico e inizia il ciclo delle pittosculture su tavola, prevalentemente chine e tempera su carta ritagliata e fissata con chiodi. Al biennio 2015-2016 risalgono le sculture in ferro e i collage spessorati. Collabora da anni con la galleria “Franca Pezzoli arte contemporanea” di Clusone. Tra le mostre personali e collettive si ricordano "Trascendenze-Sic Transit Plurs" curata da Salvatore La Vecchia, organizzata nel 2016 dal Museo di Piuro e allestita sul sito dell’antica frana del 1618, e nel 2022 "Paesaggio interiore, tempo indefinito, spazio assoluto" presso "Casa Matteo" a Fino del Monte a cura di Elisabetta Sem.


 

Il tempo delle pietre

di Marcello Abbiati

Entro un paesaggio aspro e nudo (meteorico) si erge una possente scalinata, attorcigliata lungo fiancate rocciose, apparentemente inaccessibili. Alle spalle di chi sale, un trascolorare verdeazzurro – assolutamente abbacinante nelle giornate di sole – rivela la conca lacustre di Mezzola e, più ad occidente, del Lario, con la piramide del monte Legnone che incombe sugli specchi d’acqua come una sfinge alpina.

Raggiunta una certa quota, un valloncello ombroso di olmi, betulle e castagni, vegliato da agresti cappellette votive, conduce alla soglia sospesa di Codera. L’abitato, tutto fatto di terrazzamenti granitici, scalee e aerei ballatoi, pare appartenere più al mezzogiorno che alle Alpi. Per quanto tenacemente esorcizzato, il richiamo dell’abisso incombe su questa spaccatura nuda e impressionante che è la Val Codera, in un ambiente che diviene disperatamente anacoretico e trasecolante man mano che si segue la striscia bianca e polverosa del sentiero che si addentra nel cuore della vallata verso i prativi di Bresciàdega.

I ginestroni imbiancati dalla polvere, le rocce nere e grigie che punteggiano i pascoli, le perfide diagonali dei versati granitici, il sibilare della vipera annidata nella pietraia. Tutto ciò ritrovo nei lavori di Paolo De Stefani: una dimensione ambientale ed esistenziale mai descritta, ma sempre percepita, compresa e assimilata. Con ostinato rigore, Paolo racconta la disperata geometria che proviene dall’ineluttabilità dei fatti idrogeologici, dove lo spazio antropico è ancora costretto – per sussistere, e per nostra fortuna – a lottare per allentare un poco la trama delle leggi di natura.

Della Val Codera, nelle opere di Paolo ritrovo anche quella stessa pura luce, che tutto vela in toni di pulviscolo; il che mi porta ad augurarmi che i suoi lavori riescano a trovare, senza eccessiva approssimazione, un’adeguata collocazione nel white cube metropolitano di Manifiesto Blanco. Come accade, mi viene in mente, nella Leggenda della Vera Croce di Piero ad Arezzo, le cui auree e perentorie scatole prospettiche campite di colori puri - contenenti “null’altro” che cilindri, coni, diagonali, parallelepipedi – spalancano inaudite prospettive nelle mura, altrimenti scialbate, del tempio francescano. Nel tentativo di portare un poco di Codera, per usare le parole di Pietro Bellasi, “in altre vallate lunghe e strette, nelle piazze e nelle radure metropolitane, laddove si era perduto, forse per sempre, l’appuntamento con il tempo delle pietre”. E riuscendo, sottotraccia, comunque ad udire il rombo incessante e minaccioso del torrente.

 

 

MANIFIESTO BLANCO

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Milano

 

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