Dilaga nei campus Usa la protesta pro-palestinesi

Dilaga nei campus Usa la protesta pro-palestinesi
Il Sole 24 ORE ESTERI

La guerra a Gaza e il dramma israelo-palestinese scuotono le grandi università americane. Il clima è teso dopo che i vertici di prestigiosi atenei, da New YorkYork University a Yale dopo la Columbia University, hanno chiesto l’intervento della polizia per sgomberare accampamenti di protesta nei campus, operazioni che hanno visto l’arresto di decine di manifestanti pro-palestinesi in un clima di accesa polemica e divisioni. (Il Sole 24 ORE)

Ne parlano anche altri media

Non si placano le proteste filo-palestinesi a anti israeliane in alcune delle maggiori università statunitensi. Questo, dopo che molti studenti di fede ebraica hanno denunciato episodi di antisemitismo e altri hanno espresso preoccupazione per il clima di violenza che si respira nel campus. (Il Dubbio)

Il leader dell'opposizione israeliana: "L'amministrazione Biden non può stare a guardare, deve intervenire" (LAPRESSE)

I campus americani sono attraversati da animate manifestazioni filopalestinesi che, per la loro portata e la loro risonanza, stanno allertando le istituzioni, i media e la politica americana. (L'INDIPENDENTE)

“Nei campus vietati anche i convegni su Gaza”

Alla Columbia l’ultimo giorno di lezioni (ibride) è il 29 aprile, ma la cerimonia di laurea a maggio rischia di diventare un palcoscenico della protesta. In un briefing con i giornalisti, ieri sera, il vicecapo della comunicazione della Columbia Ben Chang ha ribadito la preoccupazione dell’amministrazione («Sicurezza non è solo assenza di violenza, la protesta viola le regole») e il timore di persone esterne all’ateneo anche se quest’ultimo è ora chiuso a chi non ha un badge. (Corriere della Sera)

«Durante gli scontri di Valle Giulia nel 1968 Pasolini – ricorda Rampini – assunse una posizione anticonformista. Si schierò dalla parte dei poliziotti figli di proletari contro gli studenti borghesi figli di papà». (Corriere TV)

“Le nostre università investono nei più grossi produttori di armi e stanno attivamente facendo profitti con le bombe scaricate sulle donne e i bambini di Gaza. Noi del gruppo Jewish Voice for Peace (“Ebrei per la pace”) siamo qui per dire: non ci può essere libertà se non siamo tutti liberi”. (Il Fatto Quotidiano)