George Floyd, ex agente Chauvin ricorre in appello e chiede nuovo processo

Chauvin rischia fino a 40 anni di carcere

E questo perché, sostiene l'avvocato Eric Nelson, al poliziotto di Minneapolis è stato negato il diritto a un processo equo.

I legali dell'ex agente Derek Chauvin, condannato per l'omicidio dell'afroamericano George Floyd, hanno presentato ricorso in appello e chiesto un nuovo processo.

(Adnkronos)

Su altri media

Mitchell è stato fotografato con indosso una maglietta del movimento Black Lives Matter con la scritta "Toglimi le ginocchia dal collo", e ciò è bastato a definirlo non abbastanza imparziale. (Fanpage.it)

Quest’ultimo si è tenuto a Minneapolis, la città in cui Floyd è stato ucciso Nella richiesta si legge come a Chauvin sia stato negato il diritto a un giusto processo e per questo ne chiedono un altro. (Ticinonews.ch)

Infine, i giudici sono accusati di non essere stati in grado di isolare la giuria visto l'ambiente ostile all'imputato, sottoponendo così i giurati a possibili intimidazioni o al timore di rappresaglie Si accusa anche la corte che ha condannato l'ex agente di aver abusato della sua discrezione, negando in particolare la richiesta per un cambio di sede del processo. (RSI.ch Informazione)

I legali di Derek Chauvin, l’ex agente della polizia di Minneapolis condannato per la morte del 46enne afroamericano George Floyd, hanno presentando ricorso in appello. Si accusa anche la corte che ha condannato l’ex agente di aver abusato della sua discrezione, negando in particolare la richiesta per un cambio di sede del processo. (Corriere del Ticino)

I legali di Derek Chauvin, l'ex agente della polizia di Minneapolis condannato per la morte del 46enne afroamericano George Floyd, hanno presentando ricorso in appello. Si accusa anche la corte che ha condannato l'ex agente di aver abusato della sua discrezione, negando in particolare la richiesta per un cambio di sede del processo. (Gazzetta di Parma)

Ai giurati viene invece rimproverata una «cattiva condotta» così come il fatto di essersi lasciati «intimidire» dalle «pressioni dovute alla questione razziale» durante il processo. Anzi, era attesa ed è una prassi piuttosto comune nel caso di processi che si concludono con una condanna. (Ticinonline)