La Cina è nuovamente uno dei paesi che mina più Bitcoin, nonostante il ban

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La scomparsa della Cina dalla scena era comunque stato accolto in maniera molto positiva dalla comunità, in quanto era venuto a mancare uno dei principali motivi di accentramento della capacità produttiva della rete Bitcoin, anche considerando che la potenza perduta era stata largamente recuperata già a dicembre dello scorso anno, quindi l'assenza dell'apporto cinese è stato completamente assorbito in pochi mesi. (HDblog)

Su altri giornali

Il governo cinese aveva imposto dei limiti molto rigidi a tutti coloro intenti a trovare nuove criptovalute in territorio cinese appunto. Il mining esplose in territorio cinese al punto che il 65% circa del potenziale di mining globale era proprio in Cina. (I-Dome.com)

Gli Stati Uniti, infatti, restano il primo Paese con una quota del 37,84% della capacità di calcolo (che viene espressa in Exahash) che serve a minare bitcoin. La Cina viene preferita dai minatori in quanto l'energia elettrica consumata nel Paese è più economica perché deriva ancora in gran parte dal carbone. (DDay.it)

L'Italia resta ai margini del mondo del mining. La Germania ha invece il 3% del mercato, un dato che potrebbe essere influenzato però dall'utilizzo di Vpn da parte di minatori in altri paesi (idealista.it/news)

E già a settembre 2021 - cioè due mesi dopo il divieto imposto dal governo centrale - la Cina rappresentava poco più del 22% del mercato totale del mining di bitcoin, secondo i dati dei ricercatori di Cambridge Del resto la Cina rappresentava, all’epoca, tra il 65% e il 75% dell'hash rate mondiale. (Il Sole 24 ORE)

Secondo una ricerca del Cambridge Center for Alternative Finance la Cina sarebbe tornata a essere un importante hub per l’estrazione di bitcoin, il secondo al mondo dopo gli Stati Uniti. Secondo il report la ripresa sarebbe dovuta a una “improvvisa impennata delle operazioni svolte in segreto”. (Wired Italia)