«Mi si nota di più se firmo o non firmo?». Quel dilemma del Pd sui quesiti anti Jobs Act

Il Dubbio INTERNO

Mi si nota di più se firmo o non firmo? Parafrasando Ecce Bombo, i referendum della Cgil sul Jobs Act stanno al Pd come la celebre festa sta a Nanni Moretti. Che alla fine della telefonata decide di andare, come Elly Schlein ha infine deciso di apporre il suo nome sui quesiti lanciati da Maurizio Landini per abrogare una delle riforme simbolo del governo di Matteo Renzi. E quindi del Pd di allora. Ma la libertà di coscienza lasciata dalla segretaria dem, che da par suo non poteva fare altrimenti che firmare, visto che uscì dal partito in polemica con quella riforma per poi fare campagna elettorale contro quel testo, sta provocando in tanti parlamentari e dirigenti dem quello che per Moretti era “il dilemma dell’apparire”, e che per i democratici si è trasformato nel “dilemma del firmare”. (Il Dubbio)

La notizia riportata su altri giornali

Antonio Polito riprende una frase detta al Corriere da Marianna Madia, ex ministra del governo Renzi che dieci anni fa varò il Jobs act: «Una segretaria che firma un referendum contro una riforma del suo stesso partito e dice che lo fa a titolo personale, e lo fa una settimana dopo Conte e Fratoianni, cosa sembra?». (Corriere TV)

Le due mosse rivelano come la sinistra italiana, quella partitica e quella sindacale, preferisca abbandonarsi a una sorta di passatismo crepuscolare, trovare rifugio nel piccolo mondo antico che illusoriamente possa metterla al riparo dagli epocali stravolgimenti tecnologici e sociali del nuovo millennio che trovano principale sfogo nel mondo del lavoro. (L'HuffPost)

Fine della reintegra sul posto di lavoro previsto dall’articolo 18 del vecchio Statuto dei lavoratori, sostituita dall’indennizzo economico «a tutele crescenti» a seconda dell’anzianità professionale. (Il Sole 24 ORE)

Renzi: "Schlein su Job Act è coerente, ma gli elettori preferiranno i partiti riformisti" 07 maggio 2024 (Il Sole 24 ORE)

I quesiti sono quattro. I primi due sui licenziamenti, uno sul superamento del contratto a tutele crescenti e l’altro sull’indennizzo nelle piccole imprese, previsti dal Jobs act. Il terzo riguarda invece la reintroduzione delle causali per i contratti a termine, in questo caso il riferimento legislativo è ad una delega del Jobs act, ma anche alla norma introdotta dal governo Meloni che lascia alle parti individuali la possibilità di indicare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva. (CittaDellaSpezia)

La firma al referendum Cgil contro il Jobs Act? "Non è una sorpresa", dice Elly Schlein ricordando che "già nel 2015 ero in piazza con la Cgil contro l'abolizione dell'articolo 18". (Secolo d'Italia)