Stato-mafia, i giudici d’appello: i carabinieri avrebbero voluto favorire la latitanza di Provenzano

Giornale di Sicilia INTERNO

La corte, presieduta da Angelo Pellino, condannò invece i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà.

- prosegue la corte - Né Mori e i suoi potevano essere certi dell’esistenza all’interno dell’abitazione di tracce utili alle indagini o addirittura di documento compromettenti.

“E’ assai più probabile, incrociando le varie fonti di datazione degli avvenimenti in oggetto, che Riina sia stato edotto dell’iniziativa dei carabinieri del R. (Giornale di Sicilia)

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In primo grado Dell'Utri era stato condannato a dodici anni, in appello i giudici lo hanno assolto dall'accusa di minaccia a corpo politico dello Stato. I giudici d'Appello confermano dunque l'esistenza di una trattativa definita "improvvida iniziativa". (La Stampa)

La sentenza d'appello del processo sulla trattativa Stato-mafia capovolge completamente il verdetto di primo grado dell'aprile 2018. La Corte d'assise d'appello di Palermo, lo scorso settembre era stata presieduta da Angelo Pellino (MeridioNews - Edizione Sicilia)

L'”improvvida iniziativa” della trattativa da parte dei carabinieri ci fu, fu “accettata da Riina” e fu portata avanti, aprendo un “canale di comunicazione” con la mafia. Per i giudici i carabinieri avrebbero voluto “favorire la latitanza di Provenzano in modo soft”. (Il Fatto Quotidiano)

In appello i tre ufficiali sono stati tutti assolti, così come l’ex senatore Marcello Dell’Utri, tutti accusati di minaccia a corpo politico dello Stato. A scriverlo, nelle motivazioni della sentenza d’appello è il Presidente della Corte d’assise Angelo Pellino che non risparmia le critiche al collega di primo grado. (Secolo d'Italia)

Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso” Le motivazioni sono state depositate in cancelleria ieri nel tardo pomeriggio. (Grandangolo Agrigento)

Ma per “fini solidaristici” ovvero “la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato“. Per i giudici non c’è la prova certa dell'”ultimo miglio” ovvero che abbia comunicato all’allora premier Silvio Berlusconi la minaccia mafiosa. (Il Fatto Quotidiano)