Cento vite non bastano a dimenticare l’amore. È questa la teoria del tutto

L’amore e le emozioni che travalicano il tempo e lo spazio. Spariscono e riaffiorano. Muoiono e rinascono. I due film del Concorso (“The Beast” di Bertrand Bonello e “The Theory of Everything” del tedesco Timm Kröger), sotto una superficie, rispettivamente, distopica e quasi fantascientifica, raccontano, in fondo, due storie d’amore il cui legame non è solo ancestrale, ma proviene, addirittura, d… (La Nuova Venezia)

La notizia riportata su altri giornali

"C'è una sola bambola, abbastanza neutrale, così da piacere a tutti", e in effetti Gabrielle è un modello unico di una donna che supera i secoli, abbatte le barriere spazio-temporali per invadere lo schermo di parole, dubbi, ricordi innestati, o memorie distorte. (Movieplayer)

“La Bête” di Bertrand Bonello ci porta nel 2044, ma poi ci fa indietreggiare nel tempo: 2014, 1910, più qualche altro scampolo d’annata sempre del XX secolo. Racconta la storia d’amore tra Gabrielle (Léa Seydoux) e Louis (George MacKay), in piena era di intelligenza artificiale, che domina le nostre vite, ma non del tutto i sentimenti. (ilgazzettino.it)

La bestia conquista Venezia: sorprende, affascina e fa riflettere “La bête”, il nuovo film di Bertrand Bonello in lizza per il Leone d'oro. Per liberarsene, Gabrielle deve purificare il suo DNA: si immerge quindi in vite precedenti, dove ritrova Louis, suo grande amore. (Il Sole 24 ORE)

Per liberarsene, Gabrielle (Léa Seydoux) deve purificare il suo DNA: si immerge quindi in vite precedenti, dove rincontra Louis, suo grande amore (interpretato da George McKay, che ha sostituito il compianto Gaspard Ulliel). (Best Movie)

In realtà, come James faceva chiaramente emergere nel finale di quel racconto pubblicato nel 1903, quell'«animale pericoloso» da cui guardarsi era proprio l'aridità di cuore di cui soffriva il protagonista, ovvero l'incapacità di amare. (ilGiornale.it)

Un piccione dentro casa, nel sistema di immagini allegoriche di La Bête, è presagio di morte (per fortuna la mia im/picciona non si è mai affacciata all’interno, mi viene da dire allora), e proprio di presagi sono cariche tutte le immagini che ancora una volta Bonello immerge nei glitch, nei lag e negli errori di sistema del linguaggio slabbrato dalla rete, come se questo nuovo film fosse una messa in pratica in un set “a grandezza naturale” (esplicitato già dal green screen svelato nell’incipit) delle simmetrie tra le finestre e i pop up degli schermi del precedente Coma. (Sentieri Selvaggi)