Scandalo Armani: operai sfruttati e caporalato nel cuore della moda italiana

La celebre casa di moda italiana, Giorgio Armani, è finita al centro di un'inchiesta della procura di Milano. Il motivo? Le condizioni di lavoro nei suoi laboratori, dove venivano prodotti articoli di lusso come cinture e borse.

Condizioni di lavoro inaccettabili

Il mantra seguito negli opifici abusivi era semplice: aumentare la velocità di produzione senza curarsi della sicurezza e delle condizioni dei lavoratori. Questo sistema di produzione, attivo da sette anni, ha portato alla luce una realtà sconcertante. Alcuni prodotti d'eccellenza della celebre casa di moda, targati Made in Italy, venivano realizzati attraverso subappalti in laboratori-dormitorio sparsi per le province di Milano e Bergamo. In questi luoghi, la manodopera cinese era sfruttata e pagata in nero con cifre irrisorie, anche di 2 euro all’ora.

Coinvolgimento di figure note

Tra i nomi coinvolti nell'inchiesta figura anche quello dell'ex calciatore Alessandro Budel. Budel, che è stato anche allenatore e commentatore sportivo, è amministratore delegato dell’azienda di famiglia Manifatture Lombarde Srl. Questa azienda è una delle due che farebbero parte della rete di appalti, subappalti e opifici abusivi coinvolti nell’inchiesta. Tuttavia, è importante sottolineare che Budel non risulta indagato.

Il vero scandalo

La vera notizia non è l’accusa di aver favorito, in un modo o nell’altro, il caporalato. E nemmeno quella di aver affidato la realizzazione dei manufatti griffati a una ditta senza capacità produttiva adeguata. Il vero scandalo è la retribuzione da fame con paga oraria che si aggirava intorno ai 2-3 euro l’ora, per fortuna esentasse visto che il salario arrivava in nero.

Questo scandalo mette in luce le ombre di un settore, quello della moda, spesso considerato all'avanguardia e glamour, ma che nasconde realtà ben diverse. Una riflessione necessaria per un settore che deve fare i conti con la propria responsabilità sociale.

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