La crisi dei centri di permanenza per il rimpatrio: una violazione dei diritti umani

Le condizioni di vita nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) italiani sono state oggetto di un dossier realizzato da circa quaranta organizzazioni che fanno parte del Tavolo Asilo e Immigrazione.

Il rapporto rivela una serie di violazioni dei diritti umani, tra cui la somministrazione massiccia di psicofarmaci, tentativi di suicidio minimizzati come mere simulazioni e segni di autolesionismo tra i migranti reclusi.

Condizioni di vita nei CPR

Nei CPR italiani, tra cui Gradisca d'Isonzo, Milano, Roma, Palazzo San Gervasio, Bari, Restinco, Caltanissetta e Macomer, le persone sono detenute senza aver commesso alcun reato.

Questi luoghi sono stati descritti come luoghi di vera e propria detenzione, con l'unico scopo, per lo più irrealizzabile, di essere rimpatriate.

Violazione dei diritti

I detenuti nei CPR non vedono garantiti i diritti previsti per i detenuti nelle carceri italiane.

Tra le principali criticità dei CPR, vi è l'impossibilità di fatto per i trattenuti di far valere i propri diritti, dalla difesa alla salute. Inoltre, vi sono patologie gravi non trattate e un forte disagio psichico tra i detenuti.

Chiusura dei CPR

Le condizioni degradate e l'assenza di tutela nei CPR hanno portato molte organizzazioni a chiedere la chiusura di questi centri.

Questi luoghi, assimilabili a carceri, paradossalmente garantiscono meno diritti delle carceri vere e proprie. La detenzione può durare fino a un anno e mezzo senza che sia stato commesso nessun reato, ma solo un'irregolarità amministrativa.

La situazione nei CPR italiani è una questione urgente che richiede l'attenzione delle autorità competenti.

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