Ecco gli xenobots, i primi robot viventi al mondo

Tale cooperazione ha portato alla nascita degli xenobot, basati sulle cellule di rana e riassemblati grazie a un supercomputer.

L’unico problema è che il tessuto è debole e tende a rovinarsi, lasciando dunque solo sette giorni di vita ai robot che, comunque, sono completamente biodegradabili.

L’ottimismo non manca, come mostrano Michael Levin e Josh Bongard, leader del progetto:. “Questi robot non tradizionali non sono come le tipiche macchine che conosciamo. (DR COMMODORE)

Su altri giornali

di Serena Console Gli scienziati americani dell’Università del Vermont e della Tufts hanno creato i primi robot viventi e autorigeneranti al mondo, usando cellule staminali della rana artigliata africana. (La Repubblica)

In teoria, realizzandole a partire da cellule di mammiferi, queste macchine “quasi viventi” potrebbero presto arrivare ad adattarsi e muoversi su terra ferma, insieme a noi. Le stesse cellule hanno un potenziale energetico da trasferire alle macchine, che varia tra sette e dieci giorni. (Key4biz)

Ma anche nelle loro configurazioni più creative, i metalli e le materie plastiche semplicemente non possono essere all’altezza delle cellule. Nel laboratorio di Michael Levin alla Tufts University, le cellule possono aspettarsi di trovarsi in una insolita compagnia. (Futuroprossimo)

Gli xenobot potrebbero essere anche realizzati con vasi sanguigni, sistemi nervosi e cellule sensoriali per formare dei rudimentali “occhi”. Siamo ovviamente molto lontani da una realtà simile, ma i robot organici creati da un team di scienziati unendo cellule di una rana lascia immaginare che, forse, in futuro molto prossimo la visione del game designer Hideo Kojima diventerà realtà. (Tom's Hardware Italia)

I creatori, dell’università del Vermont e di Tuft, parlano per questo di robot vivente, primo nel suo genere, una macchina minuscola, per niente somigliante all’idea che abbiamo di robot – quella dell’automa. (Wired.it)

Il nome deriva dalla rana africana Xenopus laevis: sono proprio le cellule dell'anfibio che sono state usate per questa scoperta. Tramite un supercomputer, le cellule possono essere moltiplicate e viaggiare nel corpo umano. (L'HuffPost)