'È stata la mano di Dio', autobiografia di un sogno chiamato vita

Successivamente il testimone passa a Diego Armando Maradona, il santo laico della città.

Ambientato nella Napoli della seconda metà degli anni ’80, È stata la mano di Dio è un racconto di formazione che ripercorre in forma autobiografica la vicenda personale di Paolo Sorrentino.

Il suo Fabietto è perfetto nella fragilità, nella sensibilità, nella crescita, nell’approccio verso il cambiamento che la vita gli propone. (Taxidrivers.it)

La notizia riportata su altre testate

Così molti esercenti, ai quali il lungometraggio era stato promesso, se lo sono visto sfilare (La Repubblica)

Sealogy 2021, un successo oltre le aspettative. Oltre 80 le iniziative convegnistiche, cui hanno partecipato 380 relatori di caratura internazionale e 845 partecipanti collegati online ai diversi convegni proposti in forma ibrida. (pesceinrete.com)

Auto da fé in forma di racconto di formazione, «È stata la mano di Dio» sorprende con la ricchezza delle sue suggestioni, perché il racconto autobiografico (ormai tutti sanno che il film gira intorno alla tragica scomparsa dei genitori del regista Paolo Sorrentino al tempo dei suoi diciassette anni) è solo una delle possibili piste da percorrere. (Corriere della Sera)

Abbiamo incontrato a Napoli Paolo Sorrentino e Toni Servillo in occasione dell'anteprima nazionale di È stata la mano di Dio, nei cinema dal 24 novembre e su Netflix dal 15 dicembre. (Vanity Fair Italia)

Fabietto (il bravo Filippo Scotti) è il giovane Sorrentino che studia al liceo classico, non ha amici ma la sua è una famiglia vitale e allegra in cui tutti si vogliono bene. Lo ha scritto da solo e rappresenta una svolta rispetto al cinema sorrentiniano che conosciamo, fatto di dimensione onirica e virtuosismi. (Vanity Fair.it)

In sala domani, dopo la presentazione alla Mostra del cinema di Venezia dove ha vinto il Leone d’argento, È stata la mano di Dio, il nuovo film di Sorrentino è divenuto subito l’evento della stagione cinematografica nazionale grazie all’attesa abilmente costruita dal marketing di Netflix, ma soprattutto all'aura che circonda il nome del regista le cui opere rispondono perfettamente alla funzione di «popolare». (Il Manifesto)